Grazie per il Feedback!

Grazie per il Feedback!

Credo che ad un certo punto dovremmo smettere di formare esclusivamente le persone che danno feedback e sviluppare la capacità di accoglierli ed elaborarli da parte di chi li riceve.

La maggior parte dei neuroscienziati ritiene che il modo migliore per misurare Il potenziale di adattamento di un essere vivente sia contare il numero di feedback che il suo sistema nervoso è in grado di ricevere ed elaborare. 

Molti autori, tra cui Raymond W. Kulhavy e William A. Stock dell’Arizona State University, sostengono che un feedback efficace debba contenere una componente valutativa e una informativa che abbia, oltre alla risposta corretta, indicazioni aggiuntive su tema, errori commessi e soluzioni.

Robert B. Ammons, dottore di ricerca in psicologia clinica sperimentale, sostiene che un ritardo nell’invio del feedback ne comprometta l’effetto sulla performance, mentre il professor Bourne Lyle della Colorado University replica che, se le attività svolte durante l’attesa non impediscono di richiamare alla memoria il comportamento in esame, posticiparlo non pregiudica l’apprendimento.

La letteratura di riferimento è affollata di tecniche che descrivono come formulare il feedback perfetto, ma, quanto a saperlo ricevere, ho trovato poche informazioni significative.

Eppure, se il feedback è sostanzialmente un processo dialogico tra due attori, dovremmo pensare a come rendere entrambi i personaggi efficaci a livello conversazionale, abbandonando l’idea che l’esito di quella performance dipenda solo ed esclusivamente dalle tecniche che abbiamo trasmesso alla fonte emittente e non anche dal metodo che guida il suo destinatario.

Tutti i giorni riceviamo un numero sconfinato di riscontri destrutturati ed informali ai messaggi che inviamo in forma analogica e digitale, ma solo una piccola parte di essi sopravvive ai nostri meccanismi di difesa per guadagnare la luce dei riflettori di un processo di elaborazione più approfondito e trasformativo.

Assunto, dunque, che una corretta esecuzione tecnica è indispensabile per un risultato efficace, mi sono confrontato con persone di indubbia capacità tecnica che non sono soddisfatte degli esiti che raggiungono durante alcuni colloqui. 

E se fossero le tecniche conversazionali del destinatario la chiave di volta per raggiungere il successo in queste situazioni?

Riteniamo di avere varie ottime ragioni per non raccogliere un feedback e la prima di queste è giudicare il suo contenuto falso, ingiusto o semplicemente inutile. 

Così come scegliamo un film o un libro attirati dal titolo senza conoscerne la trama, allo stesso modo tendiamo a reagire anticipatamente al feedback che siamo in procinto di ricevere sulla base di quanto percepiamo attrattivo o minaccioso il tema su quale ipotizziamo si svilupperà la conversazione.

La rapidità con cui possiamo giungere a tali valutazioni persino prima di aver iniziato effettivamente il colloquio è il risultato di un’urgenza classificatoria che ci spinge a cercare presagi di pericolo o indizi di controllo della conversazione in cui siamo immersi o che siamo in procinto di affrontare.

La ricerca dei segnali di potenziale pericolo favorisce l’attivazione del “confirmation bias”, cioè “la ricerca o l’interpretazione di prove in modo che siano favorevoli a esistenti credenze, aspettative o ipotesi del soggetto interpretante”.

Secondo lo psicologo Raymond Nickerson, le persone in uno stato di allerta sono particolarmente soggette alla psicotrappola dell’autoinganno perchè vanno alla ricerca di informazioni convalidanti ma non diagnostiche (valutative) delle emozioni, siano esse positive o negative, con cui si approcciano al colloquio di feedback.

Le presunzione, rapidamente divenuta certezza, di un potenziale pericolo, innesca il sistema nervoso autonomo che libera l’adrenalina ed il cortisolo necessarie ad esprimere reazioni più o meno esplicite di attacco, di distacco o di diniego dei messaggi che riceviamo.

 

Siamo consapevoli delle emozioni con cui affrontiamo quello specifico colloquio di feedback?

La funzione delle emozioni spiacevoli di cui facciamo esperienza prima e durante il colloquio è informarci che alcune reazioni di difesa sono in atto, ed è solo la condivisione di tali resistenze con il nostro interlocutore che ci permette di condividere la responsabilità di ricevere un feedback efficace.

Il feedback, poi, è una massiccia testimonianza della soggettività dell’altro: le azioni e i comportamenti oggetto di allineamento sono espressi da (poche) storie ordinate attraverso le etichette interpretative dell’osservatore. 

Tanto meno condividiamo quelle interpretazioni, tanto più la nostra interlocuzione sarà istintivamente orientata ad attribuire alle narrazioni che ci vengono presentate un’eccezionalità che ne invalida la rilevanza ai fini della ricalibrazione dei nostri comportamenti futuri. 

Dal momento che possiamo essere inconsapevoli di un nostro atteggiamento ma non delle nostre intenzioni, tendiamo ad assumere il controllo della conversazione dirottandola all’interno del nostro inviolabile perimetro di coscienza. 

 

Quale contributo vogliamo dare all’esplorazione delle informazioni che riceviamo? 

Evidenziare le intenzioni che ci spingono ad agire in una situazione che classifichiamo come eccezionale riduce la tensione emotiva che avvertiamo, ma favorisce meccanismi autoassolutori che ostacolano la ricerca di storie analoghe da cui trarre indicazioni utili per la calibrazione del nostro riorientamento.

Contrariamente ad esporre le ragioni che muovono il nostro operato, rendersi protagonisti del proprio feedback significa alimentare la conversazione attraverso la narrazione di episodi simili, per gli impatti generati sugli altri, a quelli che ci sono stati proposti dal nostro interlocutore con l’obiettivo di scrivere una narrazione congiunta in cui è più facile riconoscerci e motivarci.

La valutazione del feedback che riceviamo è, inoltre, indissolubilmente influenzata da quello che pensiamo del nostro interlocutore oppure al modo in cui ci sentiamo trattati dallo stesso (dopo tutti gli sforzi che ho fatto, con che coraggio ti soffermi su questo dettaglio?).

La difficoltà di separare “chi condivide le sue percezioni” da “che cosa ha percepito” innesca un meccanismo attraverso il quale utilizziamo il contenuto dei messaggi che riceviamo per discutere, in modo più o meno esplicito, la qualità della relazione con il nostro interlocutore.

Con lo switch tracking il destinatario del feedback biforca il flusso della conversazione per ristabilire la gerarchia delle tematiche che desidera affrontare, provocando una ciclo di scambi a due tracce potenzialmente paralizzante per la produttività del colloquio.

Il cambio di tracciamento può avvenire silenziosamente quando riceviamo feedback da qualcuno con cui abbiamo un rapporto di fisiologica asimmetria, come nel caso della relazione gerarchica capo collaboratore, oppure emergere, sorprendendo l’altro per la veemenza con cui si manifesta. 

Con buona pace del nostro autocontrollo, non saremo mai capaci di celare alla percezione del nostro interlocutore il nostro switch tracking, giacché la nostra comunicazione para-verbale e non verbale tenderà a trasmettere l’insofferenza all’argomento che stiamo trattando e, anzi, lasceremo all’altro lo spazio per eludere il topic pregiudicando l’efficacia dei colloqui futuri.

A quale tema stiamo reagendo durante il colloquio? C’è qualcosa di altrettanto importante di cui vorremmo parlare? 

La consapevolezza della tendenza a cambiare il tema su cui è focalizzata la conversazione può permetterci di mettere in pausa il colloquio di feedback e richiedere che vengono discussi non due punti di vista diversi sul medesimo argomento bensì due temi, meglio se in colloqui separati, invece di lottare continuamente affinché l’altro colga direzioni di sviluppo e crescita a noi care. 

Essere protagonisti dei feedback che riceviamo ci spinge ad un lavoro di ascolto attivo, con necessità di un impegno logico-emotivo sistematico che ha bisogno di allenamento e costanza, ma come disse un anonimo:

 “Il sasso. La persona distratta vi è inciampata. Quella violenta, l’ha usato come arma. L’imprenditore l’ha usato per costruire. Il contadino stanco invece come sedia. Per i bambini è un giocattolo. Davide uccide Golia e Michelangelo ne fece la più bella scultura. In ogni caso, la differenza non l’ha fatta il sasso, ma l’uomo”

Non esiste sasso nel tuo cammino che tu non possa sfruttare per la tua crescita, esattamente come non esiste un colloquio di feedback all’interno del quale non sia possibile assumere un ruolo di coprotagonista.

Bibliografia

Mauro Scardovelli, Feedback e cambiamento, Boria, 1998

Bruno F. Galli, Feedback. La cultura del coraggio e della considerazione, Lastaria Edizioni, 2019

Angela Gallo, Parlami, capo…, Franco Angeli, 2017

Shirley Poertner, L’arte di dare e ricevere feedback, Franco Angeli, 2015

Andrea Laudadio, Grazie del feedback: L’arte di dare e ricevere feedback per migliorare la performance, Franco Angeli, 2017

 

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